L'immaginazione

Domenica 31 Maggio 2009 15:59
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Alchimia | simboli | Spirito

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Per aiutarci a vivere questa esperienza di liberazione, si allestirà una pantomima che la rappresenti, in una radura o nei recessi di una caverna o intorno all'altare di un tempio.


Lo statuto spirituale dell'immaginazione

La precederà la cacciata di tutte le memorie del mondo esteriore, la coronerà un ammutolito raccoglimento. Infine, sospinti di là da tutte le forme, si esclamerà con Prospero (La tempesta, 4.1):

come questa visione campita sul vuoto: le torri incappucciate da nubi, i fastosi palazzi, i templi solenni, e l'intero globo, e tutto ciò che contiene, quando sarà dissolta, come questo spettacolo senza sostanza, che scompare senza lasciar traccia. Siamo la sostanza di cui son fatti i sogni, e la nostra minima vita è tutta circondata da un sonno.

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Per rientrare nell’Orígíne, nell'Unità, per diventare cristallini, trasparenti, si crea una pantomima liturgica, la forma estrema e originale d'ogni arte, la quale mostra il sogno del mondo che si dissolve nella verità come un puro simbolo della verità. L'apice della liturgia è un sacrificio.

Chi dopo questa esperienza di estinzíone s'incammina di nuovo alla volta dell'esistenza ordinaria, non è più lo stesso; ri nato, due­ volte nato, incede del tutto desto fra le torme di sonnambuli che s'accalcano per le strade.

«Come sogni, illusioni e castelli in aria, i sapienti che hanno approfondito il Vedánta, vedono questo mondo tangibile», dice il Gaudapáda Kariká (3 1).

La via della sapienza conduce dallo spazio al tempo, dalle cose tangibili agli archetipí immateríali,

 



Il lato oscuro dell'immaginazione

L'immaginazione è l'istmo tra la vita e l'estinzione, fra notte e giorno, inganno e verità. Il suo lume crepuscolare può preludere o all'eternità o alla morte spirituale. Dall'immaginazione tutto dipende. Essa foggia senza tregua immagini a partire dai messaggi che trasmettono i sensi, ma quando si distrae dal sensibile, si può volgere al suo interno, alla fonte della sua luce, al lume dell'intel­letto, oppure può viceversa baloccarsi tra le immagini che ha stipato nella memoría. I due atteggiamenti definiscono, rispettiva­mente l'ispirata visione e la fantasticheria; l'una conduce allo scopo supremo, l'altra alla degradazione.

possessed_tnEsizíale è il sogno ad occhi aperti, anche e specie d'essere un innocente gioco di immagini. Le immagini sono idoli, esercitano influssi; con esse la mente non si trastulla impunemente. Ne subisce un triplice danno: non soltanto le fantasticherie sono l'opposto della meditazione e della contemplazione, ma contaminano i sogni notturni, che le riflettono come in uno specchio curvo. Esse tarpano la prontezza, la vivacità della veglia. Il fantasticare agglutina al mondo esterno e allo stesso tempo rende inetti alle opere pratiche: come disse Keats nella Caduta d'Iperione:

Il poeta e il sognatore sono distinti fra loro,

Sono diversi, opposti, agli antipodi.

L'uno versa un balsamo sul mondo,

L'altro lo tormenta.


Quando in Milton Satana vuol far cadere Eva, la induce in fantasticheria (Paradiso perduto, iv, 800):

Spiaccícato come un rospo all'orecchio di Eva,

tenta d'attingere con diabolica arte gli organi della fantasia e con essi forgiare

fantasmi e sogni, illusioni a volontà.


Non c'è tradizione che non metta in guardia contro il fantasti­care.

 


L'addestramento dell'immaginazione

Chi fantastica consuma più tempo qualitativo di chi tenga la mente sgombra. Il tempo della quiete interiore è vasto, e la percezione vi si affina.

Quando la mente ha preso l'abitudine di piombare sulle fantasticherie come un fulmine, disperdendole, l'abbandono e la quiete diventano la norma e l'immaginazione assume i più fulgidi colori, sbalza l'esperienza con metafore auguste, va dritto fino all'arche­tipo. Quando allora la mente meditando si libri al di sopra della realtà tangibile, l'immaginativa ne raffigura l'invisibile ascesa in visioni, che splendono più di tutto ciò che la vita ordinaria possa mai offrire.

Una volta guariti dal fantasticare, si può cominciare ad allenare la fantasia, convertendola in un arto, da usare a volontà, da addestrare.

shamaLe malattie che scatenano l'energia immaginativa hanno una lezione da insegnare. Negli accessi isterici la mente è dominata da immaginazioni che consentono al corpo torsioni inaudite, salti acrobatici: muscoli e giunture rispondono come uno strumento impeccabile, esibiscono a richiesta i sintomi di ogni malattia, gravidanze isteriche inappuntabili. Il malato si scaltrisce in ritmi d'eloquio esasperati, ossessivi.

L'immaginazione si può intensificare fino a trasformarsi in allucinazione o in simulazione isterica. L'apice si tocca con la possessione; emergono allora poteri ancora maggiori.

Allucinazione e possessione sono più frequenti di quanto si creda. Di solito passano inosservate nella vita quotidiana.

Per allenare l'immaginazione non sempre conviene dare ordini diretti alla mente, propria o altrui; per vie traverse si è più efficaci.

Per mutare la posizione di calcoli nella cistifellea, un ipnotista non cerca di influenzare la sensazione e l'immagine che il paziente possa avere della cistifellea, ma gli fa immaginare di inghiottire cibi grassi e pesanti. Per estrarre un dente a un emofilico, non si cerca di prevenire l'emorragia alterandogli sotto ipnosi il quadro mentale delle gengive, ma gli si fa immaginare di tenere in bocca un dado di ghiaccio, e i capillari si contraggono.

Rendi lieve il corpo, insedialo nei poli opposti del cielo, poi abbandonati, arrenditi, abbraccia con amore i nemici, falli ruotare nella tua spirale. Un maestro giapponese di pugilato con l'ombra, confidò il suo segreto: investire nella sconfitta, accettare la disfatta, svuotare l'immaginazione. Véditi come il cosmo: figlio primogenito di Dio. Scatenando un vortice, si offrirà per forza l'altra guancia all'assalitore.

Tutti i metodi culminano nell'arte di discernere dietro gli eventi comuni della vita un soprannaturale soccorso, che emerge soltanto quando si è liberi da ogni immagine di se stessi. Allora attraverso la vita si plana, si sviluppano in noi poteri non nostri ma affidati a noi.

 


L'immaginazione e l'uso dei simboli

Esistettero società dove tutto ciò fu normale. In certe tribù quasi estinte, soprattutto nell'America settentrionale, tutti erano occupati in primo luogo dai sogni. Fine essenziale della vita era il sogno iniziatico, in cui si scorgeva il custode, l'archetipo della propria esistenza. Nient'altro contava. Dopo la somma esperienza onirica, riscossa talvolta a prezzo di ascesi, sofferenze, invocazioni, l'immaginazione restava centrata sulla figura rivelata dall'alto.

ruota_fortuna_tnL'uomo diventava l'animale, la nuvola o il tuono della sua privata rivelazione. Era la sua arma, da intagliare nel legno, da conficcare alla prora della barca o sul fastigio della casa, da tatuare sul corpo, da incidere sulla borchia o sull'anello, da far svettare sull'elmo; se ne innalzava l'inno marciando verso la battaglia, aspettando la morte. Fantasticare sarebbe stato inimmaginabile.

Culmine dello squallore era una vita senza visioni, e non restava che impetrare allora ai più avventurati di partecipare ai sogni loro. I sapienti sognavano per il popolo intero e allestivano come spettacoli i loro sogni; da quest'atto di carità originò il teatro.

Svanita è l'idea d'una vita simbolica, simile a un arazzo tessuto da potenze invisibili, in cui ci si muova fiutando significati nelle coincidenze, scorgendo premonizioni e insegnamenti negli eventi quotidiani.

L'apice di una tale esperienza è quando un uomo si liberi di se stesso al punto da convertire corpo e anima in puri materiali di una rappresentazione simbolica. Come spiegare oggi che certuni, di ritorno da una esperienza di totale estinzione, potevano perfino decidere di usare la loro vita, con cui non erano più identificati, per inscenare uno spettacolo caritatevole, per offrire un mito di sal­vezza?

Impresa pedagogica quasi impossibile sarebbe spiegare a menti occidentali o occidentalizzate come, da questa altezza spirituale, la vita diventi comunque un sogno entro un sogno. Sapendo che tutto, compresa la percezione, è frutto di sogni, si smette di cercare la verità nelle sue formulazioni o nei suoi simboli.

La storia sacra in se stessa è un sogno, un sogno tuttavia più prossimo alla verità di quello della vita quotidiana, sia pure certificata nei pubblici annali, vidimata dal sigillo di tre o più testimoni, che qualunque buon avvocato saprebbe mettere in forse con i vecchi trucchi del suo mestiere.

Non soltanto i santi, anche i sapienti secondo il mondo lanciano storie non per raccontare ciò che è di fatto accaduto, ma in vista di ciò che all'anima può avvenire una volta che sia impigliata nelle implicazioni, nei suggerimenti nascosti della storia.

Il senso di una storia, per uomini pratici come i santi o gli esperti nel gettare incanti sulla società, non sta nella sua conformità a dei fatti, ma nelle evocazioni che essa suscita dentro al corpo sottile, sognante degli uomini.

Oggi le storie sacre e anagogiche, come inverificabili, le rifiuta la gente stessa che quotidianamente si lascia beffare dai fabbricanti di immagini politiche, dai produttori di pubblicità.

 

L'immaginazione anagogica è oggi ignota, eppure nell'immagi­nazione tutto è radicato. Chi non sappia usare le immagini secondo anagogia è alla mercé di chi gliele fabbrica, fantoccio nelle mani del burattinaio.

visitazioneChi sia versato nella scienza dell'immaginazione sa cogliere le tenui premonizioni d'una catastrofe. Quando mutano i sogni, sa che la città è prossima al crollo,

La rovina è fatale quando dilagano immagini nuove; i distruttori potenziali, dediti a fantasticag­gini scatenate e insaziabili, sono sempre a disposizione, e

... preferirebbero,

anche a costo di pagarla cara, vedere rovesciarsi per strada nugoli in rivolta, piuttosto che osservare i nostri artieri amichevoli affacendarsi cantando, nelle loro botteghe.

come si dice nel Coríolano (iv, 6).

Guai al potente che non sia pastore di sogni. Lo scettro comanda di giorno soltanto se un pastorale di notte regge il gregge dei sogni. Perciò i sovrani si circondavano di poeti e tenevano d'occhio i buffoni.

In un dramma di Charles Williams, Dio pronuncia strofe di maledizione, che svelano in che consistano le punizioni divine che incolgono le comunità:

Ascolta, vanno in giro le immagini!

Come a ogni svolta, a ogni epoca nuova.

Quando lo spirito degli uomini infuria, le libero, Tutte quante: idoli dell'aula, della cappella, del mercato,

Spettrali immagini, prive della grazia d'amore, di me.

 


Immaginazione, alchimia e stregoneria

Di tutti i testi alchemici, uno è quasi esplicito, la Lettera sul fuoco filosofico attribuita all'umanista Pontano ma, secondo taluni, assai più tarda. Essa porge la chiave per tutti i testi alchemici:

rosarium_philosophorum_tnPrima diventa il sovrano assoluto delle tue passioni, vizi e pensieri, poi potrai attivare il fuoco nel cuore o lo custodirai nel suo centro per mezzo dell'immaginazione; vedrai che all'inizío sentirai una specie di mite calore, che crescerà via via. Ciò dapprima ti parrà difficile, la sensazione tenderà ad eluderti, ma tu sforzati di ínsediarla nel cuore, cònvocala, ingrandiscila, ridúcila a volontà. Tenta e ritenta. Acquista questo potere e guadagnerai la conoscenza del sacro fuoco filosofico.

Gli alchimisti preservarono l'idea, non evidente nella metafisica occidentale ufficìale, che esista un'affinità tra il mondo delle forme, degli archetipi di tutte le specie e quello dell'immaginazione umana.

Si suppone che gli alchimisti operassero precisamente su questo livello e il Rosarium philosophorum (pubblicato a Franco­forte nel 1550) condensava l'insegnamento in poche parole:

«Sta' bene attento, vigila che la porta sia chiusa, affinché l'abitante interno non fugga... la tua immaginazione seguirà la natura. Perciò osserva secondo natura, i cui corpi si rigenerano nelle viscere della terra, immagina secondo l'immaginazione veridica e non fantasti­cante» (secundum veram et non fantasticam imaginationem).

Paracelso, nel Paragrano, mostra come si fondano l'immagina­zione veridica e l'indagine della natura: chi conosce Marte, sa tutto delle qualità del ferro, chi conosce il sole sa tutto sul cuore, e l'alchimista afferra l'íntreccio degli elementi invisibili per mezzo di un'immaginazione purificata. Egli saprà, con l'esercizio, concen­trare le sue immagini, come l'acqua s'indurisce in ghiaccio.

Non devo volgere l'occhio a seguire la mano, egli dice, nella direzione in cui desidero guardare, perché ci bada la mia immaginazione, volgendo l'occhio ovunque occorra. Un'immaginazione scaturita dal puro e intenso desiderio del cuore agisce per istinto, senza sforzo cosciente... Una disgrazia porterà male, una benedizione bene, se provengono dal cuore.

Le anime sono magneti, attirano tutto ciò che risponde alla loro natura; è la parte maligna dell'anima che attira il male scatenato da una maledizione, dice il trattato De peste, e soggiunge: si trova riparo da tali pericoli nella fede, ci si rende invulnerabili credendo intensamente in Dio. Boehme echeggerà dicendo che il potere formativo della sapienza si presta sia al Regno di Dio sia alla «stregoneria per il regno del diavolo».

 


Uno scordato modo di usare l'immaginazione

Questione fondamentale per Bruno fu «Che cosa fare della fantasia?».

Per Bruno era l'immaginario il nerbo da mettere all'opera: insegnava ad alzare nella mente vasti anfiteatri didattici… Per Venere_e_Amorerammentare una sequenza, basta averla disposta in un tale contesto. Questa arte del rammentare, che forma il tema maggiore del Bruno, chi si sogna ormai di praticarla?

Si è estinta l'energía fantastica, non si sa più «scolpire» le immagini, l'uomo non è più re nella sua mente, dove lascia che scorra, turpe fiume di rifiuti, un flusso di coscienza che non cerca neanche più di dirigere, quasi che per sfruttare le potenze esterne avesse dovuto abbandonare l'intimità a se stessa. Al tempo di Bruno questa abdicazione e resa ancora non è avvenuta.

Presupposto del Bruno è il nesso posto dal Ficino tra amore e morte: l'amante si riversa nell'amato e, se questi si riversa di rimando in lui, ciascuno dei due muore e risorge nell'altro.

Bruno argomenta che il Sole, l'assoluta Luce, non si può guardare, ma Diana, la luce riflessa nella natura, si può sorpren­dere; i più vanno a caccia di apparenze, amano apparenze, pochi scorgono il lume di natura, Diana ignuda. Quando questo accada, l'uomo «è tutto occhio», è mutato in quel lume, non guarda più alle distinzioni e ai numeri, perché ne ravvisa la fonte, Diana; scordate «le distinzioni e i numeri», diventa come un morto in vita, non ama più nulla essendo l’amore, non va a caccia di nulla essendo la caccia.

 


L'immaginazione cristiana e la sua morte

La tradizione cristiana risale al passo dell'Ecclesiastico, a cui nei secoli rimase ferma e imperterrita:

«Il tuo cuore patisce di fantasie come quello d'un'incinta. Salvo siano visite dell'Altissimo, non vi apporre il cuore».

Narra le sue lotte feroci ai sogni da sveglio san Girolamo:

«Ammazza il nemico mentre è piccolo e per evitare un raccolto di erbaccia, spezza il male in germoglio».

FluddEgli era pervaso di insegna­menti ebraici, tutti racchiusi nello Yoma 29 a del Talmud: peggiore del peccato commesso è la fantasia, come più pericoloso è il sole quando l'aria sia ispessita da vapori e un vaso d'aceto puzza di più socchiuso che spalancato.

L'opera suprema dell'antichità sull'argomento è il trattato sui sogni di Sinesio, che pone in cima ad ogni esperienza la conoscenza fantastica di Dio. Arrivarci significa aver spazzato via i demoni la cui natura è immaginaria, le umidità mentali, per cui la mente profetica attinge uno stato caldo e secco.

Questi insegnamenti sono così strettamente parte dell'Occi­dente cristiano ed ebraico, restano talmente ingranati nello spirito generale, che quando Freud fra il 1908 e il 1909 si occuperà del tema, osserverà che i paranoici sono dedití a fantasticaggini auto­commiserative e adulatrici, mentre gli altri nevrotíci giocano con forme ambiziose o erotiche e l'attacco. isterico altro non è che l'irruzione all'esterno delle fantasticherie. La sua conclusione, ancora impeccabile, è che

«la gente felice non fantastica».

Ma in realtà questa dottrina tradizionale risuona in un'Europa contaminata, incapace di comprenderla, aveva spezzato la diga che difendeva la mente dalla fantasticheria

Goethe, è ignorato allorché esalta l'immaginazione capace di cogliere l'essenza vivida e creativa che genera piante, scheletri, ogni organicità nella natura.

Fra mente e corpo media l'immaginazione o fantasia, ma è una mediazione così stretta, che non ci è dato di isolare dalle altre la facoltà immaginativa o fantastica e nemmeno di scinderla dal corpo stesso.

 


Significato e significante: una frase di Socrate

ars_memoriae_tnDenominare, connotare, significare comporta sempre un rinvio ad altro dal nome, dal significante, implica sempre un rimando all'istanza decisiva che è l'esperienza interiore, silenziosa e meditativa del significato.

Accettare tutte le conseguenze della necessaria divergenza tra significante e significato porta a diffidare del linguaggio discorsivo, specie quando sia scritto. La parola scritta è infatti il segno di un segno, è il significante al quadrato, allontanato del doppio dal significato.

Di questa diffidenza occorre armarsi, se si vuole intendere la filosofia delle scuole antiche, di cui fu un cardine. Ne parla il finale del Fedro, la cui portata è immensa.

La parola scritta, dice Socrate, aiuta a richiamare alla mente, ma rovina la mente. Fatalmente l'esteriorità dei significanti scritti sostituisce ed estingue i significati interiori.

memoriaDegli scritti Socrate argomenta: «Crederesti che essi parlino esprimendo un pensiero, ma se, mosso dal desiderio di capire, fai loro qualche domanda, essi ti annunciano sempre e soltanto una stessa e unica cosa. Inoltre una volta scritto, un discorso rotola da tutte le parti, restando sempre il medesimo sia fra coloro che se ne intendono come fra coloro ai quali è estraneo».

Socrate conclude che perciò il filosofo scriverà soltanto per gioco, per divertirsi, tanto per far festa o per annotare personalmente un pensiero: non illudendosi di comunicare idee. Una scrittura socratica è agli antipodi della redazione di norme, di precetti imperativi. Un'ídea, insegna Socrate, non ci giunge dall'esterno: deve germogliarci nell'intimo e per fare che nasca in altri, occorre agire con loro come fa l'agricoltore con la terra: egli prepara il suolo, lo concima, lo semina, cura i germogli, protegge gli steli.

Fra gli strumenti dell'agricoltura di idee, possono servire anche i discorsi, purché cambino di continuo, purché con significanti sempre diversi si risponda via via alle interrogazioni che il destinatarío farà sul significato. «I migliori discorsi - conclude Socrate non fanno che suscitare il ricordo in coloro che già sanno».

Si è mai meditata a fondo questa frase?

 


La preghiera come purificazione.

In ogni tradizione si ripete uguale la storia della purificazione progressiva: il pentimento discioglie in acqua lunare e raggela in una saturnina malinconia che stacca dallo spettacolo del mondo. Ma l'intuizione degli archetipi, delle forme angeliche operanti khunrath2dietro le quinte del gran teatro del mondo, scioglie dalla stretta della malinconía, mostrando le energie sottili che plasmano gli eventi: dietro la collera, la calda secchezza di Marte; dietro l'accidioso dubbio, il freddo e secco Saturno; dietro la superbia, il Sole; dietro il vano vagheggiare, la fredda Luna; dietro la gola, Giove; dietro l'industre avarizia, Mercurio; dietro la libidine, il diaccio umidore di Venere. Dietro i fantocci, i marionettaí. Ma si discerne anche il distacco del sapiente nel pesante piombo, la fortezza nel duro ferro, l'umana imitazione della vita perfetta nell'argento, la pieghevole temperanza nello stagno, l'alacre zelo di perfezione nel mercurio, la soavità serafica nel rame sonoro. Ognuno di questi metalli guarisce una malattia.

E tutte queste qualità confluiscono infine nell'oro, luce coagulata. Oro, luce, sapienza: sono realtà distinte, ma l'archetípo è comune. Quando lo si raggiunge, l'uomo e la natura non si dividono più. Tale la difficile, intravista unità cui san Paolo accenna con voce rotta ed esultante.

Per raggiungere un tale incredibile e irrappresentabile stato occorre che divampi costante il fuoco. «Non spegnete lo Spirito», esorta la prima ai Tessalonícesí (XIX). È questo il fuoco alchemico recato dal Cristo, che all'ínizío - insegnerà san Barsanufio - è fumoso, indi lucente a mano a mano che l'aníma diventi un olio (uno zolfo) senza commistione né d'acqua né di terra.

Che cos'è questo fuoco, visto nella prospettiva dell'uomo incammínato alla purificazione, se non la preghiera incessante? Nella prospettiva del fonditore il cui fine supremo sia la pietra, sarà la vampa visibile che tramuta i suoi metalli; dal punto di vista dell'agricoltore vagheggiante le piante tuttifrutti che Dio creò alle origini, sarà il sole. Sul piano dove e l’ìntelletto d'orazione e il fuoco e il sole si formano, opera un'unica forma formante, che variamente si presenta come questa o quella forma formata conforme.

La preghiera si paragona a una fiamma dal crepitare costante, o all'infaticabile murmure di un'acqua viva, o allo stormire d'un albero o di un bosco. I Greci chiamavano gli dèí

«coloro che vivono scorrevolmente».

Dirà un mistico bizantino che ogni pianta sotto la brezza divina canta la sua orazione, la sua melodia particolare, e tutte le piante insieme si uniscono in un concertato. Ciascuna voce è una virtù: la moderazione dà un suono secco sottile, la purezza uno limpido e chiaro, la fortezza una nota tenuta e veemente, il disinteresse per le ricchezze è puro e vivace, la serenità è netta e soave.

L'orazione di pura presenza, ininterrotta, è l'acqua di vita che sgorga dal cuore, dalle viscere, e che toghe ogni altra sete; o anche: un fuoco che tutto consuma.

Avvertiranno i Padri greci che una tale orazione non dev'essere fatta nel cervello, bensì «collocandola», sentendola emergere dal plesso solare.

Gli alchimisti insegneranno che il cuore è il focolare o Vesta, che nutre una fiamma sottile. Mentre la vampa spessa e bruciante delle passioni è Vulcano, la preghiera di pura presenza è la fiamma, sottile o vestale, detta Pallade o palladio.

solis2Lo spirito vitale in se stesso o calore innato, simile - avendo ugual natura – all’energía che sospinge con regolare moto i corpi celesti.

Allorquando, esenti dalle consumanti e aspre vampe, dalle terrene sollecitudini, l'attenzione nostra va tutta a quell'altro fuoco in noi, siamo dunque astri in cielo.

«Non vi compiacete dei vostri poteri», dice il Cristo ai discepoli ormai taumaturghi, «ma rallegratevi che i vostri nomi sieno scritti nei cieli».

Il loro nome segreto è quello dell'astro che emulano in terra: I cieli sono i libri della vita, delle sorti.

Essere il proprio astro, essere la fine fiamma immutevole della vitalità pura, del calore innato: tale la meta. Ascoltare quel fuoco nella quiete d'ogni altro suono, nella cessazione d'ogni turbamento.

Quel fuoco sempre si effonde, comunque, dal cuore, a infondere vita nel corpo. Il lunare cervello lo tempera e i polmoni lo ventilano come mantici. Una lieve, rítmata pulsazione solare, un calmo, parco ragionare e immaginare lunari, consentono di contemplare la fiamma candida e verginale o, variando metafora, di ascoltare l'instancabile, sottile e limpida polla.

A ciò accennano Posidonio, chiamando Dio uno spirito «intelligente e di fuoco», e Filone, insegnando che «la coesione nelle pietre e nel legno è uno spirito che ritorna su se stesso», che dall'intelletto divino scende uno spirito «íl quale non è soltanto aria messa in movimento, ma una sorta di stampo e impressione della potenza dívína».

 


Il calore innato

solisQuesto calore innato, non sorto da infiammazioni morbose, si ha in comune con le fiere e le pietre e i legni, ed è semplicemente il tramíte per cui l'intelletto divino infonde la vita in ogni e qualsiasi essere. In questo senso Dio «tiene insíeme» la pietra, il legno, l’animale, e perciò «parla» nella quiete completa che l'uomo sappia creare dentro di sé, senza parole, col tranquillo murmure della vita stessa. Il verso famoso di Virgílio (Eneide, vi, 747) íntraducibílmente lo chiama aetheríum sensum atque aurai simplicis ignem: la vibrazione sensibile dell'etere e il candido fuoco originario del soffio di vita.

Si può dire che l'interpretazione alchemica della vita corporale e spirituale è tutta in quell'esametro d'infinita bellezza. È come ne fosse un commento l'esposizione che, fra altri, fece della fisiologia sublime Robert Fludd: il pane celeste o luce cade dall'Alto nel talamo sinistro del cuore, per essere serbato nell'arca dell'aorta donde accorre a sostentare gli spiriti vitali, destinando i più sottili, alla mente e alla psiche, i meno sottili - quasi acque del firmamento umano - a reggere la volontà, e i più grevi - quasi acque inferiori della terra umana - alle funzioni corporali. Intanto, a conservare in vita la casa d'argílla in cui questa comunicazione di luce avviene, l'invisibile alchimista, celato in quella luce, in quel pane celeste, cuoce il cibo terreno a bagnomaría nello stomaco, separando lo spesso dal sottile, che poi nel fegato distilla mondando quel chilo bianco al modo che si depura un piombo lebbroso in un'officina, espellendo l'atrabile nella spugna della milza, stillando la bile rossa nella cistifellea, l'acqua nella vescica, finché a forza d'illimpídire ottiene il suo Sole, il suo oro: il sangue, e ulteriormente depurandolo lo spinge dal ventricolo destro del cuore al polmone sinistro, dove diventa pura dinamícità, fuoco del semplice spirito (forte quanto è ridotto a mera omeopatíca potenza).

Nel cuore questo spirito vigoroso e quella luce celeste si fondono in uno spirito di luce con una unione perfetta. Il lieve sussurro luminoso è aetherium sensum nel ventricolo sinistro, auraí simplicis ígnem nel destro.

Ultimo aggiornamento Venerdì 11 Febbraio 2011 12:40  
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